NO ALL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA
Giuseppe Candido
Professione docente
Il 23 gennaio scorso, l’autonomia differenziata voluta dalla Lega ha ottenuto il via libera al
Senato sul testo scritto da Calderoli, il ministro che si è definito “caterpillar” e sicuramente
anche alla Camera passerà poiché i numeridella maggioranza sono tali da non riservare
sorprese.
Va precisato anche che il Senato ha esami- nato velocemente e in due ore bocciato la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare sull’autonomia regionale sulla quale anche la Gilda si era impegnata per la raccolta delle firme.
Bocciato in meno di due ore il lavoro di raccolta firme durato sei mesi e con esso bocciati an- che 100 mila cittadini, tra cui tanti, tantissi- mi, insegnanti firmatari il cui impegno non è stato minimamente considerato. Bocciatasenza appello.
Il testo Calderoli passato al Senato, riguarda l’attuazione della riforma del titolo V della
Costituzione, con la definizione dei principi generali per l’attribuzione alle Regioni di forme
ulteriori e condizioni particolari di autonomia in 23 materie (come indicate dall’articolo 116 e
117 della Costituzione) e le modalità procedu- rali per l’approvazione delle relative intese tra
Stato e singole Regioni. Uno dei punti mag- giormente dibattuti, anche nella maggioranza,
e su cui sono intervenute modifiche, è quello dei Lep (i livelli essenziali delle prestazioni).
All’articolo 1 si prevede che per le materie rife- ribili ai diritti civili e sociali obbligatoriamente
garantiti equamente su tutto il territorio nazio- nale, l’attribuzione potrà avvenire solo dopo la
determinazione dei Lep. Obiettivo: decentralizzare e dare alle Re- gioni la possibilità di decidere su ben 23 materie. Non bazzecole: dalle norme generali sull’istru- zione all’energia, alle reti infrastrutturali, alla salute e persino sulla sicurezza del lavoro, la proposta dell’ A.D. approfitta del terzo comma dell’articolo 116 della Carta per stipulare inte- se: le Regioni chiedono e lo Stato concede.
Articolo, è bene sottolineare, modificato dalla Riforma del Titolo V della Costituzione- Legge
3 2001, voluta dal Centro sinistra.
Per il governatore pugliese Emiliano nasceranno “venti nuovi Stati diversi tra loro” modifi- cando “la capacità dello Stato centrale di intervenire per equilibrare gli interventi ed evitare
che le regioni più ricche lo diventino sempre di più a scapito di quelle più povere”.
La SVIMEZ ha valutato in 90 miliardi la cifra necessaria a risanare le differenze che oggi
già esistono nelle varie parti del Paese in ter- mini di Sanità, Scuola, infrastrutture ecc.
.In pratica con questa riforma spariranno il servizio sanitario nazionale, la scuola pubblica
statale, i programmi di studio saranno decisi dagli assessori regionali, gli insegnanti saran- no selezionati con concorsi regionali e criteri diversi da regione a regione, le infrastrutture energetiche saranno regionalizzate, e la sicurezza energetica sarà decisa regione per regione.
Persino il sistema dei trasporti potrà esseredeciso dalle regioni e se una regione vorrà
privatizzare l’intero sistema sanitario regionale potrà farlo. Ancor più di quanto non abbiano
già fatto.
Non è sicuramente un caso che il sondaggio SWG commissionato dalla Gilda insegnanti è
reso pubblico a fine gennaio, abbia evidenzia- to come il 54% degli insegnanti sia contrario
all’autonomia L’AD, se applicata in modo esteso su materie come sanità, scuola, sicurezza sul lavoro, sol- leverebbe problemi significativi sulla coesione e l’unità nazionale dello Stato.
La qualità dell’assistenza sanitaria potrebbe variare notevolmente, più di quanto già avvie- ne, mettendo a rischio principi di uguaglianza che costituiscono fondamento dell’unità nazio- nale.
Un altro rischio è la frammentazione delle poli- tiche educative e scolastiche ; se ogni regione
decidesse autonomamente sul proprio siste- ma scolastico, potrebbero emergere disparità nell’istruzione offerta agli studenti.
Anche secondo la Banca d’Italia il rischio di effetti negativi sulla gestione delle
risorse pubbliche sarebbe elevato(1).
Nel 2021, secondo il rapporto GIMBE, la mo- bilità sanitaria interregionale in Italia ha già
raggiunto un valore di 4,25 miliardi di euro, con saldi estremamente variabili tra le Regioni del
Nord e quelle del Sud.
Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto – Regioni capofila dell’autonomia differenziata –raccolgono il 93,3% del saldo sanitario attivo, mentre il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.
«La mobilità sanitaria – spiega Cartabellot- ta, presidente GIMBE – è un fenomeno dalle
enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che riflette le grandi disegua- glianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud delPaese. Un gap diventato ormai una “frattura strutturale” destinata ad essere aggravata
dall’autonomia differenziata”.
Se con la pandemia abbiamo rimpianto la mancanza di un piano anti pandemico aggior- nato, con 20 sistemi sanitari diversi ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli.
Persino Monsignor Savino – Vescovo in Ca- labria a Cassano allo Ionio – ha invitato alla
mobilitazione contro l’autonomia differenziata: «Calabresi, reagite! Senza diritti non c’è
democrazia». Aggiungendo di essere preoccupato per quello che definisce «Il silenzio
degli onesti» e questo è «il momento di farsi sentire».
Concludiamo aggiungendo che l’autonomia differenziata su questioni fondamentali potrebbe alimentare tensioni e rivalità tra regioni, minando il senso stesso di appartenenza a una
nazione.
L’identità nazionale è sostenuta da una serie di istituzioni comuni e valori condivisi, e una
frammentazione eccessiva potrebbe indebolire molto questo legame, minacciando l’unità
stessa dello Stato.
In tutto ciò, una domanda viene spontanea: ma è possibile che con i sovranisti al governo
l’unità nazionale la dobbiamo difendere noi?